Stella Pende, gli occhi e la penna sul dolore del mondo - vere.news vere.news

Stella Pende, gli occhi e la penna sul dolore del mondo

di Nicola Montisci

Nei suoi occhi e attraverso la sua penna ci sono paesi e volti, persone importanti e semplici. C’è il dolore dell’Africa ma anche tante altre latitudini dove la sua penna ha raccontato l’esistenza e i conflitti. C’è la Sardegna, seconda casa, il legame con Emma Bonino, le battaglie civili e a per gli ultimi.

Stella Pende ha stretto un patto indissolubile con la scrittura che è diventata il motore della sua vita, qualcosa di più di una semplice professione che l’ha fatta approdare, tra le altre collaborazioni, a Panorama e in televisione. 

Ho messo insieme i fili della sua biografia e provo a riassumerla: nata a Roma nel 1951, ha frequentato la facoltà di Lettere e filosofia della Sapienza. Nel 1974 ha iniziato la sua attività nel mondo dell’informazione come collaboratrice del settimanale Panorama. Nel 1979 è diventata giornalista professionista.

Nel 1982 ha condotto su Raidue la rubrica Sí però…. all’interno di Mixer, poi due anni dopo Sotto a chi tocca… stavolta all’interno di Blitz condotto dal giornalista Gianni Minà.

Una bestemmia in diretta dell’attore Leopoldo Mastelloni l’ha fatta allontanare dalla Rai, ma non si è fermata: nel 1986 ha pubblicato il libro L’ho fatto per amore. Poi è diventata inviata dell’Europeo nel 1988. Il ritorno in tv su Raidue nel 1992 con Le ragioni del cuore. E’ tornata anche a Panorama come invitata fino al 2009.  Nel 1995 ha pubblicato il suo secondo libro Voglia di madre, nel 2010 è stata a Rete 4 con il programma d’attualità Storie di Confine-Barriere Invisibili, mentre scriveva per Panorama e Donna Moderna. C’è anche il terzo libro, Confessione reporter quello che non ho mai scritto. Dal 2012 è stata autrice e conduttrice del programma televisivo che porta lo stesso nome.

C’è tanta vita, collaborazioni, scelte obbligate e rapporti semplici e complessi nel suo raccontarsi mentre prepara la valigia per l’Africa, tra tv e scrittura, viaggi e interviste.

“Scrivevo forse meglio prima rispetto ad oggi, ma sono certa che la scrittura può nascere solo se si ha un qualche talento nascosto, una profonda vocazione a farlo. Questo talento deve fare i conti con l’essere pronti a prendere schiaffi, così come è successo a me per arrivare dove volevo arrivare, perché sapevo che quella era la mia vita. Mamma diceva di smettere di copiare, io in verità scrivevo e basta”.

Stella ha avuto la forza di volontà del trovare la sua strada, la sua voce quella forte e amara delle parole e delle passioni che emergono solo se si fa quel metro in più del necessario.

Partiamo da una curiosità tecnica: tu scrivi molti articoli e libri, come si divide la tua produzione quando ci son tanti impegni e scadenze?

I libri nascono nei momenti in cui non ci son reportage, difficilmente scrivo per entrambi, anche perché i reportage sono impegnativi, ti mettono in gioco con tutta te stessa. Ne ricordo uno, sulle tracce di Tiziano Terzani: sono andata a visitare la stanza da cui scriveva, un pertugio di due metri quadrati. Fu l’ultima sua testimonianza, un’intervista sulla sua malattia, sul suo lavoro come scrittore e inviato di guerra.

Mi dicevi che fossi avulsa alla tecnologia, che ci fosse proprio una incomprensione di fondo…

In un mondo invaso dai computer e dagli strumenti elettronici mi sento ancora un’analfabeta tecnologica, preferisco di gran lunga la penna. Eppure un grande come il premio Nobel della letteratura Garcia Marquez mi ha suggerito di scrivere al computer, di imparare assolutamente perché era fondamentale per il mio lavoro.

A proposito, come ti organizzi quando devi concentrarti sulla scrittura e mettere insieme i pezzi di un reportage o di un libro?

Non sono Georges Simenon, ma quando scrivo devo trovare il mio spazio e la mia dimensione, quindi è un’attività che faccio in solitaria, lontano da ogni distrazione. 

E qui, a proposito di spazi e ispirazione, entra in gioco la Sardegna…

Ebbene sì, da venticinque anni ho una casetta nell’isola dove mi rifugio, una scrivania da cui scrivo e trovo le idee. E’ sempre quella, una sorta di rituale.

La Sardegna e il tuo legame, abbiamo trovato il legame, non è solo scrittura…

Mi sembra di essere nata qui, forse è successo in una vita precedente. Mi sento sarda, ritrovo una specialità il carattere spinoso, generoso, difficile e complesso delle persone

La Sardegna è la mia pelle estiva, non potrei stare senza mare, pinete, profumi, qualcosa che avverti già quando scendi dall’aereo. Ed è bello perdersi in giro per la campagna, quando passeggio anche con i cani, scoprire luoghi nuovi o semplicemente lasciarsi trasportare alla ricerca dell’inedito. La conosco tutta e per il mese in cui ci vivo riesco a trovare spunti e ispirazione. La Sardegna è, per esempio, la bellezza di Alghero ma anche Teulada con le storie dei suoi centenari, per cui ho fatto una inchiesta. 

Cambieresti qualcosa?

Peccato che questa bellezza sia poco sfruttata, uso questo termine con la massima attenzione, perché il turismo può essere una chiave di volta. Ricordo di un cinema all’aperto a Pula che fu chiuso, come esempio di tante possibilità non colte.

C’è qualcosa di particolare che racconta il tuo legame con la Sardegna?

La musica di Paolo Fresu, il canto del suo strumento che offre gioia e felicità.

Legami, persone, come Gheddafi: fu una delle tue tante interviste nel mondo arabo, quella forse che è rimasta più impressa.

Ho intervistato tanti leader del Medio Oriente. Lui è stato sicuramente un uomo speciale, nel bene e nel male. Ci siamo incontrati in una tenda nel deserto, per due notti.  Disse che non era lui il leader della Libia ma che questo ruolo lo avesse popolo, che il popolo fosse sovrano. Ci son state alcune incomprensioni e tensioni soprattutto nei primi momenti dell’incontro perché lui era visibilmente stanco, ma poi sono riuscita a trovare una chiave di volta. Grazie a lui ho scoperto l’immensa bellezza del Sahara.

Interviste ne hai fatto son tante, qualche altra persona ti ha colpito in particolare?

Emma Bonino. Ammiro il suo coraggio e le battaglie che ho condiviso, che ci permettono di vivere in un paese civile. Una donna straordinaria che mi ha insegnato tanto, a cui il paese deve tanto, con cui ho vissuto anche l’esperienza di un rapimento.

Cosa cerchi, quali aspetti vuoi portare all’esterno delle persone che intervisti?

Parto sempre dall’invisibile, da quella parte di non detto e non descritto, per tirare fuori l’umanità e i sentimenti, senza reticenze. Faccio le domande che devo fare, non nascondo nulla, ma voglio vedere le persone nella loro intimità e profondità, gli uomini oltre le cariche e le figure pubbliche.

Saltiamo dalla Sardegna all’Africa, sembrano pochi chilometri di mare ma è un’immensità: come spieghi questo tuo legame con il continente?

Più che di Africa parlerei di tante Afriche, tutte con una loro specificità e le loro difficoltà, con la necessità di essere comprese. Questo è il primo approccio necessario. L’Africa è tante ferite che ho provato a raccontare, dalle guerre in Congo e Uganda all’AIDS fino alle migrazioni. L’Africa è un impegno personale, una figlia che ho adottato, un continuo capire e agire che comporta fatica e sofferenza.

Torniamo alla professione. Immagino che nella tua vita ci siano stati anche tanti fallimenti, quello più importante che ti ricordi?

Il rapporto conflittuale con Panorama, per cui ci siamo lasciati e ritrovati tante volte. Ho avuto difficoltà a farmi capire, ho sentito dolore quando mi bocciavano i pezzi. Non comprendevano che una ragazza e una donna, nonostante l’appartenenza a una classe sociale non proprio disagiata, poteva e voleva fare quel mestiere. Oggi quella difficoltà è meno presente, ma è stata dura farlo comprendere.

Le donne nel giornalismo, una risorsa importante e oggi sicuramente accettata, usiamo questo brutto termine, più di quei tempi.

La professione e la percezione sono cambiate. Le donne hanno introdotto la tenerezza e l’indagine sui sentimenti. Hanno cambiato il racconto. Oriana Fallaci metteva dentro le sue interviste e i suoi reportage la sua carne. Le donne hanno cambiato la professione, inizialmente provocando l’invidia degli uomini poi diventando modello di giornalismo.

Il peggior consiglio che hai ricevuto?

Sicuramente è stato quello di  fare la modella. Me lo disse un caporedattore. Ero indubbiamente bella e forse avrei avuto più successo seguendo quella strada, ma non volevo mollare, avevo una storia da scrivere. Questa.

 

Stella trasmette l’energia di una donna che ha saputo conquistarsi il suo posto nel mondo ma sa bene che quel posto comporta fatica e lavoro, e può meritarselo solo continuando a raccontarne anche le ferite, le parti oscure, le difficoltà. Quelle che molti evitano perché è un lavoro che necessita di una profonda comprensione del mondo e soprattutto dell’uomo, in un tempo veloce in cui si preferisce la narrazione istantanea. A differenza di un altro approccio, di chi vuole far ascoltare, senza censure e filtri, le grida di aiuto del sud del Mondo e farle comprendere. Quella comprensione che lei, fin da subito, ha provato a mettere in gioco, certa che la verità ha bisogno delle parole e che senza donne e donne giornaliste che mettono nero su bianco quelle parole il mondo resterà ancora più complicato di prima.

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