Reddito di cittadinanza, si cambia. Ecco le nuove regole - vere.news vere.news

Reddito di cittadinanza, si cambia. Ecco le nuove regole

Reddito di cittadinanza, si cambia. Il Governo Meloni ha previsto nel disegno di legge di bilancio approvato delle modifiche importanti per la misura di sostegno entrata in vigore nel 2019 dal primo Governo Conte. 

Il Reddito di cittadinanza è stato fino ad oggi, secondo i sostenitori, uno strumento pensato per le famiglie e gli individui in difficoltà economica: non un sussidio di disoccupazione, ma una misura di sostegno al reddito che rimane disponibile una volta terminati gli strumenti ordinari, come la cassa integrazione e il sussidio di disoccupazione. Un aiuto anche a chi ha un lavoro e non riesce uscire dalla povertà.

La pensa in maniera diversa il nuovo Governo che già ha espresso le sue intenzioni in campagna elettorale. Secondo le dichiarazioni in conferenza stampa anche della stessa Premier, il Reddito di cittadinanza continuerà a essere previsto per le categorie in condizione di povertà e che non possono lavorare, mentre chi è “occupabile”, ossia in grado di poter avere un lavoro, continuerà a riceverlo solo per un periodo limitato nel 2023. 

Oggi l’assegno – temporaneo ma quasi mai decadente – è mensile e dipende dal numero di componenti della famiglia, dall’ISEE, dalle eventuali integrazioni per pagare l’affitto, legata a un percorso di inserimento lavorativo, obbligatorio per i percettori tra i 18 e i 65 anni (esclusi disabili o per chi ha a carico disabili o minori di tre anni). Il beneficio decade del tutto se si rifiutano due offerte di lavoro.

Con le nuove regole cambia lo status per chi ha reddito ed  occupabili, ovvero, secondo quanto dichiarato in conferenza stampa, “persone tra i 18 e i 59 anni che possono oggettivamente lavorare e che non abbiano nel nucleo disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni”. Nel 2023 alle persone che ricevono il reddito e definite “occupabili” sarà erogato l’assegno al massimo per 8 mensilità, invece delle attuali 18 rinnovabili. Dovranno frequentare corsi obbligatori di formazione o riqualificazione professionale. Il sussidio decade se queste persone non frequentano i corsi o nel caso in cui rifiutino la prima offerta di lavoro congrua. Dal 2024 potrebbe poi essere tolto del tutto.

Nella conferenza stampa, Giorgia Meloni ha affermato di voler “pensare a un periodo transitorio per accompagnare la fine del reddito di cittadinanza per chi è in condizioni di lavorare”. Si punta infatti il dito proprio su una delle parti più criticate della misura: il percorso di inserimento lavorativo. 

Il Reddito incentiva o disincentiva il lavoro? Una domanda che ci si è fatti spesso. Controverso anche capire il reale numero di persone che hanno trovato un lavoro grazie alle politiche attive. C’è il problema della difficoltà e della confusione nelle procedure in cui l’INPS, l’ANPAL e i Centri per l’impiego non condividono i dati tra di loro.

Qualche dato per capire: l’ANPAL, a settembre 2021, ha indicato che avevano trovato lavoro 1,9 milioni di percettori del sussidio. Quasi il 20 per cento loro aveva già un lavoro, a testimonianza del fatto che non sempre avere un lavoro è sufficiente a uscire dalla povertà. Circa il 30 per cento ha trovato un lavoro dopo il sussidio, anche se non sempre grazie a un Centro per l’impiego. Poi c’è una cifra pesante: quasi il 70 per cento di questi lavori – che richiedevano basse competenze – non ha superato i 3 mesi di durata e solo lo 0,8 per cento è durato più di un anno. Da notare che quasi due terzi dei beneficiari ha al massimo il titolo di scuola secondaria di primo grado e solo il 2,6 per cento è laureato.

Unica nota positiva arriva dall’Istat: nel suo ultimo rapporto annuale, l’Istituto ha confermato che il RdC è stato utile per  proteggere le famiglie dalla povertà: nel 2020 il reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza (sussidio straordinario a causa della pandemia) hanno evitato che circa un milione di cittadini arrivasse sotto la soglia della povertà assoluta.

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