di Eleonora Bianchi
STREET ART: arte contemporanea al picco della sua ribellione, che si libera dalle catene impostele da musei e gallerie, o scarabocchi che deturpano i muri delle nostre città?
Prima di proseguire è necessario liberarsi di ogni stereotipo e preconcetto che si possa avere riguardo l’arte in sé.
Sin dai suoi primi sviluppi l’arte contemporanea si caratterizza per la volontà di distruggere gli steccati disciplinari: cambiano i supporti, le tecniche, i soggetti. Quando parliamo di street art, chiaramente, il supporto è l’elemento più significativo: è un tipo di arte che è alchemicamente legato all’ambiente in cui nasce, quindi, alla strada.
La street art si trova in ogni angolo delle città, ci obbliga a riflettere su diversi temi e costringe chi la osserva ad aprire gli occhi sul mondo in cui vive. I writers, armati di vernice spray e un messaggio da trasmettere forte e chiaro, denunciano sui muri i mali della società: il malgoverno, le condizioni di vita scadenti e tutto quello che di marcio c’è nel mondo in cui viviamo.
Per questo, ha un effetto estremamente dirompente, proprio perché la possiamo incontrare su qualsiasi muro, ne siamo colti alla sprovvista e ne rimaniamo folgorati. Questo tipo di “scossa” non si prova nei musei, ma solo nelle streets.
Tuttavia, nel 2022, pensare di relegare l’arte solo e unicamente all’ambiente in cui è nata è assurdo.
Se contestualizzata a dovere, l’arte di strada può entrare nelle collezioni museali e persino nel mercato dell’arte. Non si può pensare di strappare graffiti dai muri su cui sono stati realizzati e per i quali sono stati pensati, sarebbe una violenza. Per ovviare al problema molti street artist agiscono su tela, nello stesso modo in cui realizzano i graffiti su muro. Nel momento in cui un’opera “da strada” sbarca sul mercato dell’arte, si verifica un cortocircuito per cui essa risulta ancora più impressionante: in una galleria d’arte non ci si aspetta qualcosa di così strettamente legato alla protesta, piuttosto, qualcosa di legato ai gusti del mercato, di “vendibile” nel senso di poco problematico, qualcosa che “non dia fastidio”.
Non di sola arte vivrà l’uomo. Un artista, sia pur di strada, deve guadagnarsi da vivere e, per quanto sia romantica l’idea del genio maledetto, un po’ misantropo e donchisciottesco nelle sue lotte alla società, ha bisogno di vendere e vendersi.
Mart Signed
Ad ogni modo, ci sono artisti di strada che riescono a vivere in equilibrio tra i due ambienti: uno di questi è Mart Signed, street artist livornese, classe 1988.
La passione per l’arte nasce in lui sin dalla tenera età e si sviluppa grazie ai suoi studi, prima di grafica pubblicitaria e poi all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Mart è attivo e conosciuto come street artist, nella scena underground livornese, sin dagli anni del liceo, periodo in cui emerge in maniera particolare la sua attenzione per le tematiche sociali.
Dalle opere è facile intuire le sue principali ispirazioni: Banksy, Mr. Brainwash, Obey e in generale la corrente Banksiana dei primi anni Duemila.
La sua vena espressiva non si limita all’invettiva, né all’attualità: alcune delle sue opere sono sicuramente polemiche e contemporanee, nella misura in cui si rivolgono a un mondo, come il nostro, dove i problemi, spesso, superano la bellezza. È il caso del graffito comparso a Venezia lo scorso aprile, che raffigura Volodymyr Zelensky, nei panni di una suora, intento a pregare per la pace.
Altre si riferiscono, invece, a una dimensione più strettamente legata alla Storia dell’Arte. Ne è un esempio “Art is a disease”, un vero e proprio movimento iniziato negli ultimi anni 2000 e portato avanti ancora oggi: l’arte non è una passione, piuttosto, una malattia, qualcosa che si insinua sottopelle, un pensiero fisso, un’autentica ossessione. Questo discorso lo conduce a una serie di opere incentrate sulle icone pop: Andy Warhol, John Lennon, Maurizio Cattelan, ma anche il gallerista Mario Mazzoleni, imprigionati in una camicia di forza, evidente rimando all’arte intesa come un tarlo che porta inesorabilmente alla malattia mentale.
Inguaribile classicista, in altre opere ancora, Mart Signed attua una rivisitazione in chiave street pop dell’arte tradizionale. È il caso delle opere che troviamo da Art Events Mazzoleni, dove le opere d’arte più classiche si trovano a fare i conti con con la strada. Così, Apollo e Dafne di Bernini trovano il loro spazio tra edera, cartelli e tags. La strada passa, di fatto, da essere il supporto ad essere il cuore estetico dell’opera.
È lo stesso Mart a spiegare la ragione alla base di questa suddivisione nella sua arte: “Viviamo in un mondo nel quale tutto è in dubbio, tutto è una domanda e per me fare arte è mandare un messaggio, è dare delle risposte. La rivoluzione si fa con le opere che non devono essere spiegate, i graffiti su strada lasciano a chi li vede la possibilità della libera interpretazione; nelle gallerie il messaggio viene sempre filtrato, d’altronde lo scopo del gallerista è un altro.”
In fin dei conti, le opere che vogliono trasmettere qualcosa lo fanno meglio dalla parete di uno spazio figlio del consumismo che da sotto un lenzuolo nello studio dell’artista. Gli artisti devono essere figli del proprio tempo e se il nostro è il tempo dell’iperconsumo, non vendersi risulterebbe quanto meno anacronistico.