di Nicola Montisci
Su tanti giornali nazionali è comparsa oggi la storia di Giuseppina Giuliano, 29enne di Napoli.
Lavora a Milano come bidella. Fin qui nulla di speciale. Giuseppina, però, ogni giorno, sabato compreso, fa la pendolare tra la sua città natale, dove vive, e Milano. Si sveglia alle tre e mezza del mattino, prende il treno che in quattro ore e mezza arriva nel capoluogo lombardo.
Il servizio comincia alle dieci e trenta e finisce alle cinque di pomeriggio. Il treno del rientro parte alle sei e venti per tornare a Napoli alle undici di sera.
Sui social si son scatenati i commenti e i consigli: “ma sì, devi prendere casa a Milano”, “dovresti lavorare a Napoli” “dormi in una città vicina” e tanto altro. Tutti volevano fare i conti in tasca a Giuseppina.
La notizia, oltre al treno preso ogni giorno e quell’assurdo via-vai. – e non manca chi ha messo in dubbio la veridicità della notizia -è interessante comunque, è il racconto perfetto dell’esistenza di tante persone, costrette a fare scelte al limite pur di tenere un lavoro, vivere vite senza un attimo di tregua, e dover fare i conti con spese insostenibili anche per la sopravvivenza. Sempre di corsa, reperibili, operative a qualsiasi ora e giorno, per non rischiare di essere cacciate.
Succede per precari e disoccupati, ma anche per i dipendenti, succede per chi ha partita iva. Non ci son sconti. Secondo la società di consulenza Nomina, il 65% delle famiglie italiane non arriva alla fine del mese. Poi ci sono le coppie e i single. Tre sono le principali questioni legate all’inadeguatezza del reddito famigliare: la distanza tra reddito e costo della vita (nel 65% dei casi), le difficoltà lavorative legate alla pandemia e non (entrambe, nel 9% dei casi) e le spese elevate non legate all’ambiente domestico (nel 8% dei casi).
Giuseppina offre uno spaccato reale del mondo del lavoro in Italia. Più che un’eroina – così la si vuol decantare con certo giornalismo che ama edulcorare la realtà – è una vittima, anche se lei è sempre “presente, operativa, disponibile”
Tante persone fanno fatica ad arrivare a fine mese. E non sono solo precari, hanno anche un contratto a tempo indeterminato. E poi c’è un altro aspetto: la crescente richiesta di persone che vivano solo a disposizione del lavoro.
Lo so che starete pensando che poi ci sono quelli sul divano, ai pigri, al reddito di cittadinanza, ma il tema, permettete, è altro. Non confondiamoci.
Mi ricordo tempo fa una persona, un dirigente di una importante realtà, che si lamentò, tra il serio (tanto) e il faceto (poco) del fatto che rispondessi al telefono dopo quattro squilli. Quell’episodio mi fece capire che non è solo la politica il problema ma anche le persone che appena raggiungono una posizione di potere trattano gli altri come utili idioti. E se ne trovano ovunque, in tutti i mondi. Scopro l’acqua calda, lo so, ma perchè accettare l’ingiustizia?
Per fortuna quella – grossa – collaborazione non andò in porto. Lui si vantò di essere il capo. E lo era, a tutti gli effetti. Secondo una visione padronale del lavoro, dura a morire. Però come tanti altri piccoli episodi ci racconta che il lavoro e il rispetto del lavoro è un tema ancora – purtroppo – aperto e invece di avanzare e migliorare, ci troviamo di fronte a storie come quella di Giuseppina. Che oltre a ricevere applausi per il suo coraggio – per cosa, poi? per quale medaglia al valor militare? – vive dentro un loop tragico e drammatico.