Si conclude oggi il 29° congresso della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) in corso dal 14 febbraio a Riccione.
➡️Giornalismo, quale futuro? Riceviamo e volentieri pubblichiamo il commento del giornalista Pier Giorgio Pinna (scrittore e corrispondente di Repubblica fino al 2015):
“Non è un appuntamento di routine. Le emergenze sono enormi. Dall’individuazione di moderne formule per le varie categorie di comunicatori al recupero di una dignità nel lavoro che imprenditori lontanissimi dall’editoria non sono in grado di garantire. Dall’alt a ogni forma di settorialismo all’abolizione degli schemi che impongono posizioni differenti a redattori in attività (come dipendenti o freelance) e fotoreporter, pensionati o titolari di partite IVA incentivate solo da sciacalli e speculatori. Dal rinnovo del contratto nazionale alle questioni delicatissime ancora da chiudere con Inps, Inpgi2, Casagit, Ordine.
Sono tutte situazioni da allarme rosso che richiedono vere riforme: senza frazionismi, divisioni, spinte individuali o rischiose fughe in avanti verso organizzazioni differenti. L’informazione professionale in Italia può sopravvivere soltanto se RIVOLUZIONI che siano talmente tali partiranno da una Federazione nazionale dei media che si rinnovi a iniziare dal nome. E prosegua con l’urgenza di contribuire a creare un citizen journalism convincente: servizi per i cittadini fruitori, non per partiti o potentati economici. Basato sul mix dei mezzi di comunicazione e su piattaforme integrate. Rifondato con correttezza e onestà su network aderenti alla realtà sociale, non su terrorismi psicologici o su una catena di news trasformate in permanenti show. Rinato sulla separazione di ruoli: i blogger facciano i blogger, i conduttori presentino, gli opinionisti commentino, i portavoce dei politici svolgano la loro funzione di speaker, gli addetti stampa quella di promotori degli enti o delle istituzioni che rappresentano”.
I GIORNALISTI RIPRENDANO A FARE IL LORO UNICO MESTIERE
“Quello di mediatori/ricercatori tra chi può avere interesse a una notizia e chi deve riceverla – venduta – nel modo più corretto possibile. Infatti, non sono soltanto i social, a volte, ad avvelenare i pozzi della comunicazione con fake e menzogne. Il giochino del continuo rimpallo di responsabilità deve finire. Se ci si sofferma su quello che ancora oggi succede quotidianamente per la pandemia e le guerre, non resta che prendere atto di come per la gran parte degli organi d’informazione tradizionali CREDERE E FARE CREDERE sia diventato più importante di CONOSCERE E FARE CONOSCERE.
La propaganda appare più importante dell’esigenza di appurare i fatti. L’esattezza dei “minutaggi” da attribuire in trasmissione ai partiti si rivela troppo spesso di maggiore rilievo rispetto ai contenuti delle dichiarazioni rilasciate dai loro rappresentanti. E le frasi a effetto “esterne” erette a sistema di titolazione interno alle redazioni lasciano mano libera a battutisti assoldati come onnipotenti ventriloqui digitali.
Dietro l’alibi di un declino della stampa presentato come ineluttabile a favore del web sono stati consumati misfatti e cialtronerie avallati da sedicenti editori e da imprenditori mascherati che di fatto si occupano di tutt’altro: finanza, cemento, affari, armamenti, servizi sanitari, attività lecite e sospette, azioni di lobbyng, concessionari di trasporti e beni dello Stato, iniziative incompatibili con una funzione di servizio pubblico … e chi più ne ha più ne metta.
In questo modo contesti e spaccati complessi continuano a venire banalizzati sino a una semplificazione da reality, ridotti soltanto a spot o a momenti d’intrattenimento. Mentre le catastrofi quotidiane richiederebbero al contrario analisi approfondite, inchieste e campagne, reportage di grande respiro, seria ricerca delle cause di certi fenomeni, valutazioni articolate su pericolosissime tendenze contro gli interessi comuni.
I nuovi vertici della Federazione dei media italiani avranno la forza di ribellarsi a questo stato di cose? Né rinvii né mancate scelte sembrano più possibili. Non è tollerabile continuare a vedere il giornalismo italiano collocato tra i picchi negativi nell’agenda buia della comunicazione internazionale. Né è più accettabile una replica senza fine di un’informazione per tesi precostituite, spesso voluta così unicamente dalle direzioni delle testate, anziché costruita via via, e caso per caso, in un lineare percorso di verifica delle notizie.
Così come c’è bisogno di un nuovo libro bianco sullo sfruttamento del lavoro, sul nero, sul sommerso, sui condizionamenti politici ed economici, è il momento di cambiare pagina in maniera radicale. Basta davvero con veleni, censure e autocensure, distorsioni e depistaggi. E basta anche con il mantra delle news virali come (dis)valore in sé: dalla colossale serie di boomerang collezionati negli ultimi anni dovrebbe derivare uno stop irrevocabile alle “sviste” elaborate a tavolino con tecnica da marketing. Se si vuole che il diritto/dovere di cronaca resti un principio costituzionale nella sostanza, sono indispensabili non una ma cinque marce sindacali in più. E, per raggiungere certi obiettivi, l’unità d’azione, la solidarietà, la passione e la voglia reale di cambiare restano i soli mezzi vincenti: strumenti antichi per un’informazione nuova”. /Pier Giorgio Pinna