Giampiero Marrazzo, l’intervista: “Allargare le opportunità del mondo del lavoro” - vere.news vere.news

Giampiero Marrazzo, l’intervista: “Allargare le opportunità del mondo del lavoro”

di Ileana Coiana

Dal 2021 conduce il Posto Giusto su Rai Tre, un programma in collaborazione con il Ministero del Lavoro e con l’Anpal. Oggi è ospite di Vere.News e possiamo affrontare con lui un tema delicato e urgente come l’occupazione.

Giampiero, nel programma Al Posto Giusto su Rai Tre ti occupi di lavoro. Quale la tua sensazione del mondo del lavoro in Sardegna, che so che conosci bene, declinata su quello che è l’andamento a livello nazionale?

Son reduce da vacanza nell’isola e devo dire che la Sardegna è una terra che conosco ormai molto bene. Ho occasione di entrare costantemente in contatto con imprenditori nel mondo della ricettività e della ristorazione, che lamentano soprattutto la mancanza di personale, addebitando la colpa di ciò ad alcuni elementi che noi sulla base di dati forniti dal lavoro di Unioncamere e ANPAL avevamo già comunicato, cioè il fatto che nell’ambito delle attività, soprattutto quelle stagionali, di ristorazione, dei servizi alla persona, degli alberghi, in tutte quelle attività che hanno a che vedere con il mondo vacanziero, si sarebbe generata una grande richiesta di figure professionali, anche formate.

Soprattutto negli hotel si ricercano delle figure professionali importanti e strutturate, viste le grandi richieste di competenze anche da parte della clientela, anch’essa sempre più esigente. Motivi per i quali i percorsi di formazione post-diploma sono in grado di posizionare i corsisti in maniera molto rapida, dando una copertura del 90% ai loro diplomati o diplomandi. Perché naturalmente chi va alla ricerca di determinate figure professionali si rivolge in maniera diretta a chi queste figure si occupa di formarle.

Cosa non è andato a buon fine creando una sorta di collo di bottiglia?

Domanda e offerta non si sono incontrate e l’offerta risulta essere di gran lunga inferiore. Adesso i nostri giovani vedono il loro futuro in altre tipologie di attività, legate soprattutto alla formazione universitaria. Ma esiste un’altra forza lavoro, quella caratterizzata per esempio dalla fetta di immigrati, che non devono essere considerati delle figure alternative ma una forza lavoro a tutti gli effetti da utilizzare nelle varie attività di ristorazione, e accoglienza, anche come le figure specifiche. 

Nelle tue riflessioni hai toccato molti elementi importanti, tra cui quello della formazione. Ma sarai d’accordo con me nel dire che ancora prima di questo manchi anche la consapevolezza di quelle che sono le opportunità del mondo del lavoro anche se stagionale, e anche se legato al mondo della ristorazione e dell’accoglienza?

Sai, il problema di fondo è uno: che nel nostro paese, tutti i lavori manuali vengono categorizzati come mansioni di serie B, cosa che non è assolutamente corretta. Da questo punto di vista mi preme sottolineare che per noi l’ANPAL è fondamentale, perché investe sul programma “Il Posto Giusto” insieme al Ministero per le Politiche Sociali e Giovanili, che per l’appunto persegue la propria missione, in termini di comunicazione proprio attraverso la trasmissione, da ormai ben 8 stagioni. Detto questo e per tornare alla tua domanda, credo che il potenziamento dei Centri per l’Impiego (CPI) sia fondamentale, proprio perché questi ultimi, anche se si sviluppano su base regionale, nel senso che non c’è una gestione unitaria nel paese, rappresentano un punto di riferimento molto importante, il punto di partenza, la propulsione da cui può scoccare la scintilla tra il lavoratore e il suo datore di lavoro. Spesso purtroppo questo servizio viene sottovalutato e questo non deve avvenire, visto che i CPI utilizzano internamente una serie di programmi finalizzati alla ricerca del posto di lavoro e del corretto percorso di formazione, di conseguenza rappresentano un servizio efficace, nel mondo del lavoro inteso in senso più ampio, cioè non solo nella ricerca del posto di lavoro. In questo ANPAL crede e lo persegue come scopo, e questo è un messaggio che certamente noi di “il Posto Giusto” ci impegniamo a sottolineare, e l’ho fatto io personalmente durante le stagioni che ho condotto.

Quali strade puoi individuare per una soluzione?

Bisogna allargare il ventaglio delle opportunità e per fare questo bisogna comunicare alle persone dove effettivamente siano queste opportunità, aiutandole e dissipare tutti quei dubbi che sono legati ad un pregresso culturale e sociale del paese da cui ancora effettivamente non si è scostato. Quindi sono convinto, e non lo dico perché sono alla conduzione de “Il Posto Giusto”, ma perché ne vedo gli effetti, che la conoscenza e la comunicazione siano fondamentali.  Vengo fermato spesso delle persone, che condividono con me il fatto di aver dato degli spunti, dei suggerimenti ad un figlio, o ad un nipote per il loro futuro. Bisogna comunicare le opportunità per renderle fruibili. E questo naturalmente non riguarda solo i giovani, perché lo stesso cinquantenne che ha perso il lavoro potrebbe aver bisogno di suggerimenti in questo senso. Il giovane verrà aiutato attraverso tutti i programmi di un ampio contenitore che è Garanzia Giovani, ma anche chi giovane non lo è più e crede di non poter avere più delle chance può in verità essere supportato: è però importante che conosca tutti quei programmi che sono finanziati dallo stato.

Non abbiamo introdotto il tema del PNRR…

Ci saranno anche delle nuove sovvenzioni grazie al PNRR, che, come missione, ha anche questo, non solo dare fondi a cascata. Ecco perché dico che il vero potere è nella conoscenza: se non c’è la conoscenza, è davvero difficile che si possa far veramente incontrare il mercato, e il mercato, come dice il buon Keynes, è legato alla domanda e all’offerta: se queste due non hanno un punto di ricaduta è impensabile che possiamo abbassare il tasso di disoccupazione, che soprattutto in ambito giovanile è ancora altissimo. Abbiamo anche un tasso di neet ancora altissimo! Ricordiamo che i neet sono i giovani che non studiano, non lavorano, non si formano.  E’ proprio in questo che dobbiamo intervenire, e non dando semplicemente delle speranze, bensì fornendo i mezzi per individuare le opportunità. Questo vale per la Sardegna, così come per il resto del paese. 

Quindi oltre ad un tema di formazione c’è anche un tema di sensibilizzazione, per creare nuove consapevolezze sui giovani, che hanno così la possibilità di approcciare in maniera diversa il mondo del lavoro?

La sensibilizzazione è un tema fondamentale, la verità è che i nostri giovani sono ormi disillusi sulla possibilità di trovare un lavoro. E non è certamente con la promessa di un lavoro che si risolve il problema, bisogna invece iniziare da un altro step, bisogna spiegare ai giovani cos’è oggi e come si è evoluto il mondo del lavoro! 

Partiamo dal fatto che il mondo del lavoro in Italia si sta avvicinando sempre di più a quello che è la vision nel resto del mondo: cioè anche in Italia non è più possibile fare lo stesso lavoro, con la stessa mansione, nella stessa azienda, per tutta la vita. Cosa questa, che peraltro nel panorama internazionale era ed è vista come un fallimento non certo come un punto di arrivo. Cioè se negli Stati Uniti o in Inghilterra lavori per più di tre o quattro anni per la stessa azienda, significa che non sei riuscito a riskillare la tua figura in modo tale che tu possa essere ancora appetibile per il mercato del lavoro. Quindi bisogna spiegare il cambiamento e non certo puntare sulle speranze ma dare elementi concreti. Faccio un esempio: parlare di Yes I Start Up, o di Resto al Sud, significa dare davvero dei parametri reali, in questo caso ai giovani del Sud, per non andare più via dal loro territorio di origine e per dimostrare che per chi vuole fare impresa c’è davvero un sostegno, che ti forma e ti insegna ad essere imprenditore. Tutto questo contribuisce a lavorare sulla sensibilità di una generazione che forse è anche migliore della nostra e che noi sottovalutiamo, forse per il fatto che la generazione dei nostri giovani vive una difficoltà intrinseca, legata al mondo del lavoro 24/7, cioè H24 ore 7 giorni su sette, che rappresenta qualcosa di nuovo.

Un mondo nuovo a cui ci stiamo abituando con tutti i suoi lati positivi e negativi…

Ci siamo abituati a questo approccio, grazie a strumenti come il Blackberry e ai vari strumenti di messaggistica, ma il problema è che non c’è stato un allineamento rispetto alla nostra esposizione al lavoro: cioè noi ci siamo abituati a questo concetto di disponibilità al lavoro continuativo ma per contro, non c’è stato un adeguamento agli stipendi. Lavoriamo di sabato e domenica e riceviamo la mail o il WhatsApp dal datore di lavoro alle 4 del mattino, ma gli stipendi sono rimasti gli stessi, anzi, a onor del vero, c’è stato un arretramento, assimilabile ad un altro arretramento eccezionale che era avvenuto negli anni ’70.  Quindi dobbiamo essere estremamente chiari, da un lato su punti importanti come le opportunità offerte dalla tecnologia, dall’altro su come non essere strumentalizzati dalla stessa, perché progresso significa che è l’essere umano che tiene le redini della situazione nell’impiego della tecnologia. Nel momento in cui non è più così non si può più parlare di progresso. Quindi sì, usare i social network o guardare una trasmissione televisiva possono essere degli importanti strumenti, ma è assolutamente fondamentale che i giovani si applichino, negli studi, nella formazione, perché poi ci sarà lo stato che interverrà per garantire uno dei diritti fondamentali della Costituzione Italiana, il diritto al lavoro. Non si può soltanto dire che esiste questo articolo, ma bisogna dargli un seguito, e io credo che mai come in questi anni si stia puntando proprio su questo, e non solo in termini di slogan elettorali, ma come espressione di una volontà concreta di voler garantire un futuro nel mondo del lavoro. E non un futuro che sia continuativo, ma che metta tutti nello stesso modo ai blocchi di partenza, perché altrimenti sarà difficile convincere i giovani che chi viene da un percorso di studi universitari da € 40.000 l’anno possa avere le stesse opportunità di chi invece fa un percorso esentasse per via di un ISEE di € 20.000. Lo stato deve essere vicino a entrambi, garantire di poter mettere tutti sullo stesso piano, questo è uno stato di uguaglianza e all’uguaglianza deve essere legato il merito. Diciamo questo ai nostri giovani e vedremo come spiccherà la loro sensibilità. 

Ritieni che l’Italia debba aprirsi maggiormente ad alcuni modelli stranieri, che costantemente sperimentano nuove modalità di approccio con il lavoratore, o ritieni che seguire un modello tradizionale sia la chiave più giusta? Anche la politica si sta orientando su questo?

Il mio è il punto di vista di un osservatore privilegiato, e posso certamente dire che aprirsi a dei modelli diversi significherebbe confrontarsi anche con stili di vita completamente diversi, ma allo stesso tempo credo che questi anni di pandemia ci abbiano fatto scoprire l’importanza del lavoro come una fetta fondamentale della nostra vita e non come totalità.
È emerso quanto sia importante stare all’aria aperta, dedicarsi al tempo libero e che la redditività non è stata assolutamente danneggiata dallo smart working. Possiamo essere efficienti e produttivi anche lavorando 4 o 5 giorni a settimana, lo abbiamo imparato.

Oggi stiamo facendo una chiacchierata via zoom, ma qualche anno fa, nonostante avessimo già questi strumenti, certamente avremmo optato per una chiacchierata telefonica. Invece oggi stiamo interagendo sfruttando i device, beneficiamo del confronto anche visivo, tu stai facendo il tuo lavoro e io il mio. 

Poi c’è la politica che si deve muovere di conseguenza rispetto alle dinamiche della vita lavorativa e sociale…

La politica segue i tempi e quando è fatta bene li anticipa, e se è ancora più forte, ragiona in un lasso di tempo molto lungo. Credo che la politica, tutta, stia facendo il massimo, ci sono tante rappresentanze e organizzazioni giovani che portano avanti le loro istanze. C’è il CNG, per esempio, il Consiglio Nazionale dei Giovani, un contenitore importante che ha il suo interno diverse organizzazioni e che lavora molto bene.

Ci sono certamente dei nuovi modelli da seguire ma applicare gli stessi ai modelli del nostro paese in maniera omogenea credo che sia comunque complesso. Possiamo sperimentare una settimana lavorativa con 3 giorni in presenza e 2 in smart working, o ancora il lavoro orizzontale (che peraltro non è niente di nuovo), possiamo provare in base a delle esigenze specifiche, ma non esiste per il lavoro una ricetta universale, gli ingredienti sono troppo diversi, ma non solo da stato a stato, anche solo da regione a regione. Ho amici sardi che in pausa pranzo dall’ufficio si spostano al mare, e chi dice che sia più giusto questo rispetto a trascorrere la pausa pranzo nel bar sotto l’ufficio? Non c’è una ricetta universale su base omogenea da applicare al nostro paese e sinceramente non credo che altri paesi abbiano da insegnare all’Italia. In verità credo il contrario, cioè che l’Italia abbia ancora molto da insegnare agli altri. 

Un pensiero finale?

Sono estremante fiero che la Rai mi abbia dato in questi due anni l’opportunità di dedicare uno spazio al mondo del lavoro, un argomento che forse dopo quello della Salute è il tema più importante in questo momento. Non ringrazierò mai abbastanza la Rai per questo e mi sento così vicino alle istanze di chi cerca lavoro, di chi vuole cambiare lavoro e formarsi professionalmente che per me, in questo momento, è una priorità assoluta informarmi su questo tema per specializzarmi il più possibile anche in virtù, se la RAI vorrà, della conduzione di una terza stagione della trasmissione, cosa di cui non potrò che essere felice. 

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