Francesco Castelnuovo, il cinema e il territorio (e la Sardegna) - vere.news vere.news

Francesco Castelnuovo, il cinema e il territorio (e la Sardegna)

Se mi si domandasse che Sardegna ho in mente, in questo momento mi verrebbe da dire la Sardegna delle Dune di Piscinas, quel luogo così speciale, che conosco molto bene, quel luogo in cui si può fare una cosa bellissima, che si esprime con un altrettanto bella parola sarda, sbentiai”.

Inizia proprio così il confronto con Francesco Castelnuovo, giornalista professionista, scrittore, inviato ai più celebri festival del cinema internazionali, tra cui la Notte degli Oscar, autore di speciali e documentari sul cinema e conduttore per Sky, ma soprattutto comunicatore di cinema, come lui stesso tiene e a sottolineare. L’ha intervistato per Vere News Ileana Coiana dopo avere avuto il privilegio di conoscerlo a Venezia; e infatti, a pochi giorni dalla conclusione della 79esima edizione della Mostra del Cinema, Castelnuovo ci regala uno spaccato della sua visione con una bellissima lettura di una Sardegna che ha tantissimo da offrire al mondo del cinema.

E non è un caso che la foto che proponiamo lo ritragga proprio tra le dune di Piscinas, in una terra, la Sardegna, con la quale Castelnuovo ha avuto tante connessioni

– Francesco, una curiosità personale che ti riguarda. Ho letto che ti sei laureato in filosofia. Vorrei sapere quanto i tuoi studi hanno influito sul tuo spiccato senso critico, una qualità estremamente importante per il tuo mestiere 

Sì, è corretto, sono laureato in filosofia del linguaggio, un legame con il mio mestiere esiste ed è forte. La filosofia del linguaggio è una branca della filosofia che ragiona su quanto la facoltà del linguaggio intervenga sulla formulazione del pensiero. La filosofia fin dai tempi di Platone, quando parlava delle idee, le considerava delle idee universali che prescindevano dalla lingua, poi via via si è cominciato a ragionare su quanto la lingua che parliamo formi il nostro pensiero. Ora ti chiederai, come applico questo al mio lavoro? In due modi: in primis perché il cinema è un linguaggio, ed è un linguaggio che più di altri a volte, più della letteratura stessa, ci stimola, ci invita a riflettere proprio su quella che è la forma che diamo al reale. Se leggiamo un libro o guardiamo un film, l’assegnazione di formazione del nostro sguardo sul reale, sulla realtà, è più evidente nel film. Quante volte abbiamo pensato di un film, sembra più vero del vero e questo lo diciamo meno dei libri, perché il cinema continua ad avere una pretesa, che se vogliamo è basata anche su quello che è il rapporto con il pubblico, di aprire una finestra sul mondo, anzi a volte di farti vivere un mondo. Io vado al cinema per evadere, per evadere dalla mia realtà quotidiana. Si evade con la pretesa che quel cinema ci faccia entrare in un’altra realtà. 

E poi c’è un altro aspetto, quello più specificamente legato al mio lavoro: io sono un comunicatore di cinema, specialmente attraverso il mezzo audiovisivo. E gli studi di filosofia, ed in particolare di filosofia del linguaggio, sono stati certamente molto utili. Con questa disciplina infatti, tu studi concetti come prossemica, l’espressività del viso e del corpo, che è la primissima forma di comunicazione importante nella comunicazione televisiva: quando parla un presentatore è importante ciò che dice, ma è più importante come lo dice, perché quella è la prima cosa che arriva ancor prima che apra bocca, e quando apre bocca, è importante come parla, il tono di voce, l’accento, l’uso delle pause, e questo accade certamente anche nella comunicazione cinematografica. Anche un attore, infatti, viene giudicato in base a questi parametri. 

– Ci fai qualche esempio con qualche citazione?

Partiamo da una premessa, ricollegandomi a quanto detto poco fa: spesso oggi si parla di attori che non hanno studiato, ma in verità la storia del cinema è piena di grandissimi attori e attrici che non avevano studiato, ma che avevano una faccia e insieme ad una faccia una voce. 

Per esempio un attore divenuto celebre in Francia, naturalizzato francese ma di origini italiane, è Lino Ventura e a tal proposito vi consiglio subito due film: uno celebre, musicato da Ennio Morricone, anzi in quell’occasione Morricone propone quella che per me è l’esempio più bello di tutta la sua musicografia, parlo de Il clan dei siciliani, la storia di una famiglia di malavitosi italo-marsigliesi ambientata a Marsiglia, innervato della presenza di tre mostri sacri, Alain Delon, Lino Ventura appunto, e JeanGabin. Poi ti segnalo un altro film, dal titolo Ultimo Domicilio Conosciuto, che ha l’impianto di un giallo ma che poi ti rimane come film di sentimenti, perchè c’è la relazione tra un uomo e una donna, anche se non sentimentale. In questo film Lino Ventura deve risolvere il caso di una scomparsa, ed è accompagnato da Marlène Jobert, la madre di Eva Green, la Eva Green di 007. Ebbene, Lino ventura faceva il lottatore, faceva lotta greco-romana, e aveva una gran bella presenza…

Quindi, prima del contenuto serve una forma, perché qui parliamo di visual arts, sono visual and performingarts; quella degli Oscar è the Academy of motion picuresarts and sciences, dove motion, richiama quel movimento, che in inglese è dentro una delle parole con cui definiamo film, movie, che a sua volta è imparentata con quello che è il significato della parola cinema, dal greco κίνημα, movimento, immagine in movimento, che si riferisce innanzitutto ad un movimento di corpi.  Non dimentichiamo infatti, che il cinema è nato muto, non c’erano le parole. I primi due elementi fondamentali del cinema sono stati l’immagine in movimento e la musica, che non era nella colonna sonora, ma veniva suonata dalle orchestre nelle sale in cui venivano trasmessi i film. 

– Poco fa hai citato Ennio Morricone, un maestro a cui tu sei legato in maniera speciale e che hai avuto il privilegio di intervistare. Ci racconti questo incontro? 

Quello per me è stato un momento davvero molto importante, che ha generato il mio primo e unico libro, 7 chiavi per Ennio Morricone. A Hollywood Partyil programma che parla di cinema tutte le sere su Radio 3, sono stato intervistato proprio per questo libro, e tra i critici che mi hanno intervistato ne cito uno in particolare, Alberto Crespi, critico cinematografico, autore e conduttore radiotelevisivo, che mi chiese: “Francesco, ma tu sei un musicologo?”. Aveva letto il mio libro e in effetti aveva colto quello che era il mio obiettivo, quello di far leggere Morricone nella sua lingua, la lingua della musica, e non la lingua della musica applicata al cinema, ma della musica tout court. Quindi grazie per fare riferimento a questo momento importante per me, che è stato un’occasione di speculazione intellettuale, e vorrei dire anche sensoriale, perché per me la musica è l’incrocio tra queste due cose. 

– A Venezia ho avuto l’occasione di ascoltare una tua sessione in cui non ho potuto fare a meno di notare l’importanza che tu attribuisci al legame tra cinema e territorio. Da dove nasce questo tuo interesse? 

Ritorno sul concetto di evasione che ho menzionato poco fa. Oggi possiamo viaggiare il mondo in lungo e in largo, ma un tempo, andavi al cinema anche per vedere dei luoghi che mai altrimenti avresti avuto occasione di vedere, di conoscere. Ma il collegamento con un luogo fisico per me nasce da un fatto specifico. Siamo nel 1895, il primo film è stato un cortometraggio di cinquanta secondi, realizzato dai Fratelli Lumiere, gli inventori del cinema. Il titolo era L’arrivo del treno a La Ciotat, che è un piccolo paesino della Provenza. E guarda caso, quel paesino è stato la meta del mio primo viaggio all’estero durante i miei studi per imparare la lingua. Avevo 14 anni e andai lì perché questa organizzazione portava proprio lì, fu un caso. Alla Stazione di La Ciotat girarono l’arrivo di un treno: stanno sulla banchina e riprendono il treno che arriva verso la cinepresa, e riprendono la gente che scende dal treno, stop. È divenuto celeberrimo il fatto che la reazione del pubblico fu quella di alzarsi e scappare per paura che il treno gli arrivasse addosso. Oggi questo ce lo dimentichiamo troppo spesso e quasi ci ridiamo sopra, ma un germe di quell’emozione che provocò la fuga di quel pubblico è presente ancora in noi…

Ma il cinema, oltre che offrire evasione, ha anche un’altra funzione, quella di raccontare un luogo per promuoverlo nel mondo. Io la prima volta che sono arrivato a New York, all’età di 25 anni, ho vissuto la sensazione di chi si portava dietro il bagaglio di tutti i film che aveva visto. Riconoscevo i posti. Ed ecco un altro concetto: è anche per un meccanismo di riconoscimento che si va al cinema, per il riconoscimento di una persona di una piazzetta, di un bar, di un luogo a noi caro perché magari legato alla nostra quotidianità. Ecco al cinema, quel luogo è sublimato in un’inquadratura, in un rettangolo che è anche una porzione di magia. E intendo il termine sublime da un punto di vista tecnico, sublimare inteso come portare su un altro livello, da qualcosa che consideri quotidiano ad un livello superiore. È la magia del cinema e come in tutte le magie vi è un lato oscuro, che qui è dato dalla sublimazione. Tu stesso mentre guardi quel luogo lo stai inquadrando e nell’inquadrarlo lo sublimi; quindi, non è solo l’inquadratura del regista.

La Promozione del territorio è la promozione di noi, la sublimazione di noi. A tal proposito ringrazio Bong Joon Ho, regista Sud-Koreano, trionfatore della Notte degli Oscar del 2020, che ho intervistato un anno e mezzo fa. È il regista di Parasite. L’ho ringraziato per avermi fatto conoscere una parte di Seoul in Korea, pur con la consapevolezza che con l’inquadratura, con la sublimazione, c’è anche una pulizia. Grazie all’inquadratura, infatti, il regista può togliere i difetti. Il cinema, insomma, è un importante mezzo di conoscenza, un mezzo di viaggio. 

C’è una villa sul Lago di Como a Balbianello, in cui han girato uno degli episodi di Star Wars di inizio anni 2000: il matrimonio tra i due protagonisti. Lì in effetti si celebravano matrimoni, ma il regista sublima la location ulteriormente, una location concreta viene trasformata, portata ad un livello più alto.

L’arrivo di Luke Skywalker, siamo nel ’77, sempre con Star Wars, nella casa in cui lui vive con gli zii, in delle specie di igloo di sabbia. Questo è un altro esempio significativo, perché in effetti quelle sono le capanne di fango dei berberi in Marocco. Ed ecco che così inizi a ragionare su come ragiona il cinema, su quanto un luogo possa esser evocativo. Il Marocco lo fai diventare fonte di ispirazione, il Marocco povero diventa scenario di un film di fantascienza. 

Ed è sempre Star Wars che evoca un richiamo alla Sardegna, come ci siamo detti durante una nostra chiacchierata, che si dice abbia trovato ispirazione per i suoi personaggi, dai Giganti di Mont’e Prama

– Continuiamo il nostro viaggio evocativo in Sardegna con altri luoghi?

Certamente, andiamo al 1961, quando uno dei primi grandi film che fa conoscere al pubblico la Sardegna, Banditi a Orgosolo, viene presentato a Venezia del celebre documentarista Vittorio De Seta. Cornice rurale del banditismo che ha una forte pretesa di realtà. Ma 5 anni dopo, John Huston uno di massimi registi del cinema statunitense, che si era formato nel genere noir, arriva in Sardegna, a Oliena per girare delle scene de La Bibbia. È il 1966 e i monti della Barbagia, nello specifico il Monte Corrasi, sono lo scenario de La Bibbia di Huston. Questa è sublimazione, ed ecco il legame tra cinema e territori. 

E poi c’è il caso dichiaratamente girato in Costa Smeralda, il James Bond del 1977, allora impersonato da Roger Moore. Ma c’è una differenza sostanziale tra i due film: nel caso di James Bond, il pubblico sa che il film è stato girato in Costa Smeralda perché viene detto esplicitamente. C’è il racconto nel racconto, è un caso di diegetica, che è un termine preso in prestito dalla musica: se la musica è diegetica la sentono anche i personaggi del film, se è extradiegetica la musica è solo per noi. Nel caso del film di Huston, infatti, l’operazione è proprio extradiegetica, perché non c’è bisogno di dire che quella è Sardegna per vedere e capire il film, e quindi non si dichiara, ma è una sublimazione, e certamente gli abitanti del posto la riconoscono!

Ma torniamo al 1970, quando viene girata un film a episodi dal titolo Le coppie e uno degli episodi è diretto e interpretato da Alberto Sordi ed è ambientato in Costa Smeralda. Si intitola La camera, durerà 35/40 minuti ed è uno dei miei film preferiti. Sordi è un operaio metalmeccanico, di nome Giacinto Colonna, che ha fatto un pochino di soldi e decide di portare la moglie in Costa Smeralda per l’anniversario di matrimonio. Prenota in uno degli hotel più esclusivi, con grande preoccupazione della moglie che ha la sensazione di doversi aspettare qualche guaio da quella prenotazione e vorrebbe andare a Ostia, dove sono sempre andati. In effetti nell’esclusivo hotel della Costa Smeralda la loro prenotazione c’è, ma si scoprirà che c’è un terribile equivoco di base, perché la prenotazione a nome Colonna era stata scambiata con quella dei famosi Principi Colonna, e quando in Hotel arriva invece l’operaionasce l’episodio, che è un vero capolavoro, un capolavoro tra risate e amarezza. E anche lì c’è la Sardegna.

– Ci sono tanti esempi virtuosi sulla Sardegna, possiamo quindi dire che è ancora una destinazione attrattiva per il cinema? Ha ancora ha un appeal? Se sì, in quali termini?

Assolutamente sì, io sono un grande ammiratore di Salvatore Mereu, al quale va riconosciuto il merito di saper legare il cinema al suo territorio in maniera notevole, in particolar con Bellas Mariposas, con cui ha fatto un bellissimo lavoro su Cagliari, Sonetàula, in una Sardegna più interna e più antica fino a Bentu che ha presentato adesso a Venezia. È un esempio virtuoso, di un uomo che dimostra una grande sapienza cinematografica, che del resto lo ha portato fino alla Mostra Del Cinema a Venezia, gli va reso grande onore, anche perché potrebbe lasciare la sua terra come fanno tanti registi, invece resta. 

Poi lasciami menzionare anche Su Re, film del 2013 scritto e diretto da Giovanni Columbu, altro esempio di una Sardegna biblica.  Girato interamente in Sardegna, incentrato sulla passione di Cristo, che finalmente per la prima volta a mia memoria, ha le sembianze di un mediorientale, non come il di Zeffirelli, che l’iconografia occidentale ha sempre cavalcato. 

Altro film molto divertente è L’arbitro di Stefano Accorsi, in cui Accorsi appunto interpreta un arbitro regionale, ambientato in alcuni campetti in Sardegna, è un film in bianco e nero. 

Per concludere ti cito un ultimo esempio: recentemente Alberto Angela ha trasmesso uno speciale sulla Sardegna. Ha iniziato lo speciale con un paesaggio pazzesco, nelle Dune di Piscinas, che come ti dicevo io conosco molto bene e ti posso garantire, sono state inquadrate al punto tale da renderle quasi irriconoscibili, è riuscito a sublimare un territorio in maniera pazzesca. È stato trasmesso a tutti gli effetti uno scenario di avventura, che poteva davvero essere la base di un film di avventura. Ma potrebbe essere anche, perché no, lo scenario di un film d’amore, di una storia d’amore come Un thè nel deserto di Bertolucci, o ancora di fantascienza, come Dune.

Ti voglio dire con questi esempi che un certo uso della Sardegna nel cinema c’è eccome, e che la Sardegna offre davvero tanto, e non si deve per forza contemplare solo lo scenario glamour della Costa Smeralda. 

– Francesco, un pensiero, una riflessione in chiusura di questa bella chiacchierata.

Ma sai, mi piacerebbe chiudere con un pensiero che va alle sculture di Pinuccio Sciola, pietre magiche, conosciute a livello internazionale, che davvero potrebbero essere una base di ispirazione, un punto di partenza per le trame mistiche, fantascientifiche. C’è un elemento di pietrosità, c’è un elemento di fantasia universale, che andrebbero sfruttati. 

L’artigianato dei costumi tradizionali, di cui sono grande fan, potrebbe diventare il costume di un supereroe o di una supereroina, anche se il film non venisse girato in Sardegna. Mi vengono in mente i costumi di Iglesias, che potrebbero essere davvero perfetti per vestire un supereroe, quindi non parliamo solo di territorio, ma di tanto, tanto altro…

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