Federico Rossi: “Il treno della sostenibilità è già partito” - vere.news vere.news

Federico Rossi: “Il treno della sostenibilità è già partito”

Marketing e sostenibilità, un binomio impossibile? Assolutamente no. Federico Rossi, da 25 anni si occupa di posizionamento di marca ovvero di valorizzare gli elementi che rendono un’azienda unica concentrandosi anche sugli aspetti della sostenibilità.
Consulente di marketing, esperto di sostenibilità. Divulgatore, docente e speaker: lo abbiamo intervistato per sapere come farsi conoscere e 
riconoscere senza dimenticare la responsabilità nei confronti delle persone e dell’ambiente.
Sembrava fino a qualche anno fa un concetto impossibile e invece c’è chi ha tracciato una strada: “Mettiamo insieme la parte della consulenza di marketing strategico utilizzando modelli per individuare le esigenze del mercato, le peculiarità del brand, i vantaggi duraturi dell’azienda e poi farli emergere”. 

Partiamo da lontano. Quale può essere un valido punto di partenza per un’azienda che vuol far emergere il proprio valore?

Noi, non partiamo dalla comunicazione pura, ma dai fondamentali aziendali. Lo facciamo portando dentro le competenze di marketing strategico, benchmark competitivo e posizionamento, controllando cosa fa la concorrenza e domandandoci in maniera onesta come l’azienda possa andare sul mercato, oltre il semplice prodotto messo in vetrina, trovando così gli elementi unici e distintivi. Quindi parliamo di dnaunico: valori, organizzazione, innovazione, per esempio, e da questo troviamo le unicità da comunicare. Il nostro modello si basa su un “triangolo del valore” prodotto, servizio, esperienza.

Eppure, ci sono elementi di forza che vengono, paradossalmente sottovalutati dalle aziende stesse, che ne pensi?

Assolutamente! Uno tra questi è il valore dei propri servizi. Chi produce prodotti si concentra sul prodotto fisico e non sottovaluta il suo impegno verso il cliente; si dimentica di quanto sia importante il supporto alla scelta. La differenza è questa, la vicinanza.

Secondo elemento che si considera erroneamente è la comunicazione di prodotto. Bel prodotto, bell’azienda, bel sistema produttivo, poi comunicazione precaria su quel fronte, non la ritengono rilevante. 

Comunicare sembra percepito sempre come una spesa inutile o comunque da fare, ma senza crederci troppo.

Io insegno marketing strategico e digitale. Il marketing per me come definizione “non convenzionale” si riassume nella frase “è inutile avere un buon prodotto se il tuo cliente non lo sa e non lo può avere”.

I clienti vogliono di più, vogliono un’esperienza positiva e da ricordare. Creare relazioni è importante e senza comunicazione non può esservi relazione; per questo non va vista come un costo.

Perché c’è questa difficoltà in un “certo” mondo imprenditoriale a creare e implementare relazioni?

Probabilmente è un nostro retaggio storico. Il tessuto imprenditoriale manifatturiero nostrano si è sempre orientato al fare, pensando che solo ciò che si tocca abbia valore. Tutto il resto, ovvero il cosiddetto intangibile, non è importante.

Quando devi investire in comunicazione sono spesso scettici. Un impianto con un investimento da un milione di euro che magari produrrà (o meglio non produrrà) qualcosa di non richiesto dal mercato, faccio per dire, sembra che valga più di una campagna da 10 mila euro.

Il marketing può avere quindi, uso un termine forse forte, un’anima?

Non può, deve! La comunicazione persuasiva degli anni 80, vista da molti quasi come manipolatoria, oramai è superata. Per fortuna direi. Oramai tutti son più sensibili, il digitale ha dato a tutti elementi per capire e per confrontarsi. Prima potevi vendere in maniera mordi e fuggi. Ora devi fidelizzare, creare relazioni e conversazioni. Addirittura, puntare più in alto degli altri. Ecco perché si apre il fronte del brandpurpose, le aziende perseguono il fine più alto nel loro agire, un ruolo positivo e un obiettivo di benesserecollettivo e su questo fronte devono creare affinità valoriale con i loro clienti e i loro stakeholders.

Sono cambiati i driver di scelta dei clienti. Diamo per scontata la prestazione del prodotto e cerchiamo brand che rispecchino i nostri valori e siano quasi una nostra “estensione”.

Come si crea, ovviamente cercando di sintetizzare un discorso che durerebbe ore e ore, una comunicazione credibile e onesta?

Bisognerebbe sempre partire dalla coerenza tra ciòche sei, ciò che dici e ciò che fai, essere chiari e trasparenti. Vicini al cliente, spiegare e accompagnare. Io identifico 5 “c” che possono guidare: coerenza, credibilità, chiarezza, continuità, consistenza. 

E quando le aziende sbagliano nel comunicare?

La comunicazione di crisi è un ambito di specializzazione in cui io non intervengo. Posso dirti, però, cosa farei: restare trasparente e onesto. 

La tua storia parla. Se lo scivolone è fatto in buona fede tutti se ne accorgeranno. Ammetti l’errore e riparti. Se l’errore è in malafede il mercato è sovrano e la comunicazione può poco.

Ci stiamo preparando per un futuro sempre più sostenibile oppure è solamente un elemento di discussione che sta conquistando le pagine dei giornali questi ultimi anni? 

Mi occupo di sostenibilità aziendale da oltre 17 anni.Fino a qualche anno fa, lo ammetto, tante persone ci vedevano come degli inutili folli visionari. Sta cambiando tutto più velocemente di quanto lo percepiamo. 

La sostenibilità non è moda, è un cambio di paradigma per tutti quelli che fanno impresa. Bisogna ripensarsi perché ne varrà la sopravvivenza. Anche se ora è un fattore potenzialmente premiante, più avanti toglierà molte aziende dalla scena. Diventerà una “conditio sine qua non”.

Anche perché lo stesso scenario attorno è cambiato…

I clienti cercano e premiano sostenibilità. I dibattiti sul cambio del clima, sull’inclusività, sulle condizioni di lavoro, hanno determinato una nuova sensibilità collettiva. Anche le norme oramai stanno puntando a un mondo sostenibile con regole puntuali che dettano un percorso nuovo, meno “filosofico” e più concreto.

Le filiere sono sempre più attente alla sostenibilità come anche il mondo del credito.

In poche parole, se non hai e non avrai abbracciato la vera sostenibilità – ovvero quella basata sul cambio dei modelli di business e sull’innovazione dei processi, dei prodotti e delle organizzazioni – avrai sempre meno spazio. L’accelerazione è forte, molti rischiano di stare fuori. Le regole sono cambiate.

Tutti si muovono in questa direzione sostenibile o c’è ancora lentezza?

Sono tante quelle aziende che si son messe in moto, più di ciò che si pensa. Purtroppo, chi lo fa realmentespesso comunica poco, paradossalmente chi bluffa lo fa notare di più. Greenwashing, per intenderci.

Il vero punto è approcciare la sostenibilità in modo sistemico e olistico.

Lavorare bene sugli aspetti ambientali e tralasciare quelli sociali (o viceversa) non vuol dire essere sostenibili. Io lo chiamo “soul-washing” ovvero mettersi a posto la coscienza con qualche azione spot (per quanto rilevante) senza però trovare un vero nuovo equilibrio tra tutti gli ambiti reali della sostenibilità.

In Italia com’è lo stato dell’arte e quali sono le prospettive?

Sono ottimista. A livello di imprese, non siamo così indietro. I paesi scandinavi sono avanti perché sono più stati più veloci a rispondere a un cambio dellasensibilità collettiva e politica.

Il nostro paese non è messo male: tra i settori che si sono mossi prima e meglio per ridurre gli impatti ambientali troviamo la gomma-plastica, la chimica, l’edilizia, la siderurgia, lo avreste mai detto? Un mondo senza plastica, chimica e acciaio è impensabile, ma sicuramente si può e si deve cambiare approccio. Tante aziende lo hanno fatto mail problema torna sempre là: la comunicazione, che non è adeguata.

Poi sicuramente, in questi anni, ci siamo concentrati di più sugli aspetti ambientali e meno su quelli sociali.

Possiamo dire che il marketing può andare a braccetto con la sostenibilità?

Devono andare nella stessa direzione se leggiamo correttamente le parole chiave e l’obiettivo finale di una strategia di sviluppo sostenibile: creazione di valore condiviso.

Se leggo sostenibilità come modo diverso di fare impresa non significa che non devo fare profitto, anzi se non faccio profitto non sono etico per definizioneperché non riesco a onorare gli impegni con i miei stakeholders (in primis collaboratori, fornitori, Stato e collettività).

Cosa, però, facciamo di questo profitto? Dobbiamo cambiare visione. Prima il profitto era destinato esclusivamente a remunerare il capitale investito, la proprietà e gli azionisti.

Oggi si deve creare valore condiviso, tra imprenditori, dipendenti, fornitori, collettività e tutti gli attori del sistema azienda.

E questo non perché “siamo più buoni” ma perché porta l’impresa a performare meglio e ad avere una business continuity stabile e duratura.

Oggi, il ruolo dell’azienda è a 360 gradi; è parte di una rete di connessioni, relazioni e interazioni ampia che non deve ridursi ai clienti ma a tutti i portatori di interesse.

Quali sono i passi per cambiare mentalità e adeguare i processi verso la sostenibilità?

La chiave è nella cultura aziendale, capire che il mondo sta cambiando e con esso le norme, i clienti, le tecnologie e il contesto. Dobbiamo essere proattivi e non reattivi e dobbiamo anticipare e non subire il cambiamento.

La sostenibilità è la direttrice. Come vertice aziendale va data una direzione chiara e questa direzione poi deve attraversare verticalmente e orizzontalmente tutta la struttura che deve sentirla propria, condividerla e metterla in pratica quotidianamente non solo con dei comportamenti positivi ma cercando di trasformare l’azienda in un’entità in grado di generare impatti positivi in tutto quello che fa.

Tutti devono contribuire a raggiungere quell’obiettivo, per questo i collaboratori devono sentirsi coinvolti e partecipi di una nuova missione. È un processo complesso, ci mancherebbe: non si realizza in pochissimo tempo, ma nel medio e lungo periodo ma dobbiamo iniziare ora perché siamo già in ritardo.

Tre parole che secondo te descrivono meglio il marketing del futuro?

La prima è relazione: tra azienda cliente ma anche soprattutto tra azienda e stakeholders. Non è più tempo per la vecchia azienda anni 80” che con imezzi di comunicazione massa parlava in modo unidirezionale. Oggi relazionarsi con i clienti significa mettersi in gioco, ascoltare e accettare le critiche. Non basta dire che il tuo detersivo lava più bianco!

La seconda è esperienza: vendiamo esperienze, non solo prodotti. Utilizzare prodotti, interfacciarsi su un sito, ricevere assistenza, visitare un negozio generano esperienze. E le esperienze devono essere positive altrimenti il rischio che venga socializzata una situazione negativa è molto alto.

Infine purpose, ovvero orientamento aziendale a sentire di avere un ruolo nel cambiamento della società: la relazione con i tuoi clienti sta nei valori fondamentali creando affinità proprio nei valori.

 

Non abbiamo parlato di te. Quale è stato il momento in cui ti sei avvicinato al mondo del marketing sostenibile?

Nel 1997 ho ottenuto la Laurea in Economia aziendale a Venezia con una tesi sul marketing. Ho iniziato a fare il consulente di marketing strategico da subito e dal 2006 ho allargato le mie competenze alla sostenibilità

Un cliente storico, una piccola azienda del territorio padovano che oggi è diventata una realtà importante, a cui seguivamo marketing e comunicazione, è stata la nostra pista di decollo.

Iniziammo insieme – a inzio anni 2000 – un percorso di sostenibilità molto concreto con analisi, certificazioni e validazioni. Abbiamo lanciato una strategia di marketing diversa, anticipando l’approccio alla comunicazione di sostenibilità di 15 anni!

Da quel momento ho capito che c’era bisogno di un metodo e di una visione diversi anche sul fronte dellecompetenze, da mettere a disposizione delle aziende che volessero cambiare paradigma.

Ringrazierò sempre questa azienda, mi ha aperto una finestra su un futuro e ci abbiamo visto giusto.

Da quel momento è stato un continuo di studi e approfondimenti, da cui poi son nati miei libri, articoli, collaborazioni e docenze universitarie.

A proposito di libri, quali ti hanno influenzato di più?

Tanti, ma ti citereiGreen marketing. Il manifesto” di John Grant.

Poi ovviamente non posso citare quello che scrissi nel 2016 insieme a Maria Grazia Persico: Comunicare la sostenibilità edito da FrancoAngeli.

Il consiglio peggiore che si può dare a un’azienda?

Assecondare chi vuol bluffare. Una frase come “facciamo, poi in qualche modo lo sistemiamo” non va bene. Preferisco bianco e nero, in questo mondo si è coerenti e trasparenti. E questi due fattori pagano sempre.

Il tuo peggior fallimento?

Le relazioni clienti interrotte per vari motivi: è qualcosa che accade, ci mancherebbe, ma spesso ti fa vivere male. C’è un vecchio cliente con cui non abbiamo più lavorato senza nessun motivo particolare e quella chiusura ancora oggi mi brucia, al di là del riscontro economico.

Cosa suggeriresti a chi ancora non sale sul treno della sostenibilità?

Il mondo sta andando avanti, il mondo cambia. Ci sono evoluzioni che non si percepiscono, ma, attenzione, perché si resta dietro. Bisogna mettere la testa fuori in maniera molto laica per scoprire che esistono dei grandi trend, apparentemente distanti, ma che in realtà coinvolgono e coinvolgeranno tutti. 

Il treno sta partendo e riguarda anche le aziende piccole. Non è moda, è proprio un cambio di paradigma. Chi non si muove, ne pagherà le conseguenze, perché le regole del gioco sarannoquelle e saranno diverse da quelle attuali.

È come quando giocavo in porta e introdussero la regola del portiere che doveva usare i piedi sui retropassaggi. I con i piedi ero assolutamente negato e non a caso avevo scelto i guanti dell’estremo difensore. L’alternativa però era semplice o imparare a calciare o smettere. Pensateci un po’!

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