Succederà (magari è già successo) che qualcuno prima o poi fondi un gruppo Facebook chiamandolo “Non sei di Nuoro se…”. Ecco, quello sarà il giorno in cui io interverrò, contatterò l’amministratore e lo pregherò di completare così il titolo: “…non conosci Fabio Rosas”.
Imprenditore di vocazione prima ancora che di mestiere, attivo da una vita nei settori del lusso, dell’orologeria e dell’oggettistica, Fabio in realtà è noto ben al di là dei confini della città. In Sardegna lo conoscono o ne hanno sentito parlare più o meno tutti. Ma a Nuoro ha lasciato il segno perché ne ha fatto una missione, sin da quando, nell’ormai lontano 1999, avendo aperto un suo negozio indipendente in via Lamarmora, decise di impostarne il marketing all’insegna della valorizzazione del territorio, dando così il via a un fil rouge di eventi, veri punti di raccolta delle energie nuoresi e barbaricine, capace di sopravvivere persino alla pandemia.
Sul finire di ottobre 2021 ottenne risonanza nazionale per aver inviato una lettera a Mario Draghi chiedendogli di far intervenire l’esercito in Sardegna onde risolvere nel breve periodo l’emergenza sanitaria. Nella missiva, che raccolse in due settimane oltre diecimila firme di sostegno, snocciolava cifre allarmanti: «Gli organici», scriveva, «lamentano un vuoto di circa 1500 tra medici e infermieri. Ma il dato crescerà perché l’età media del personale è elevata e le nostre due università non riescono a tenere dietro alle uscite dal mondo del lavoro. Se il trend non sarà invertito la Sardegna sarà costretta, nel giro di pochi anni, a importare medici o a dare un altro taglio a prestazioni e assistenza di base – taglio che, vista la situazione, risulterebbe esiziale».
Sono trascorsi nove mesi e ben poco è cambiato. Anzi, nello specifico dell’ospedale nuorese San Francesco è dell’altro giorno la notizia del fermo al reparto di ortopedia. «In quella lettera parlavo di sette medici su 18 in servizio al pronto soccorso», ci racconta, «quattro su 14 in Chirurgia, 15 su 34 in Radiologia. Occorre che la società civile si mobiliti, la sanità è bene primario e non lo stiamo trattando come tale».
La tendenza, secondo lui, si riverbera identica in tutti i settori. «Mio figlio Marco di recente ha scritto che Nuoro è “anestetizzata”, ha usato proprio questa parola, e la trovo pertinente. Abbiamo un’enogastronomia d’eccellenza, risorse naturali a bizzeffe, un monte bellissimo che sei anni fa fece sognare a occhi aperti un gruppo internazionale di giornalisti miei ospiti, e non facciamo niente per sfruttare queste potenzialità. Come può una città come la nostra, l’Atene sarda, accontentarsi di ricevere i turisti che scappano dal mare quando c’è maltempo?».
Proposte? «Ci vuole una gestione imprenditoriale. Col potenziale che abbiamo raccoglieremmo i risultati in breve tempo e riapriremmo i dieci hotel (dieci!) chiusi negli ultimi anni. Prendiamo ad esempio una festa come quella del Redentore (29 agosto): se gestita in modo oculato, può portare a Nuoro migliaia di persone. La Barbagia ha un’unicità di forte richiamo proprio in virtù delle sue specificità, della bellezza dell’entroterra. Rendiamo dunque Nuoro il capoluogo, la vetrina di queste zone interne. Non è certo un caso se Orgosolo richiama qualcosa come 150mila persone all’anno, significa che l’area funziona».
Ci sono anche ricorrenze prestigiose come i 150 anni dalla nascita di Grazia Deledda. «A parte che dovremmo fare di più in assoluto per tutelare la memoria di un Premio Nobel, nella consapevolezza di quanto una scrittrice come questa sia significativa del valore della cultura nuorese, a parte questo, dicevo, nemmeno nel relativo di questi 150 anni mi sembra si sia fatto granché. Stiamo tenendo un po’ di convegni ma senza trarne beneficio in termini di notorietà e flussi turistici. Potremmo invece, da qui a sempre, non solo quest’anno, instaurare un circolo virtuoso con altre eccellenze culturali, quali il MAN, il nostro museo d’arte, e richiamare visitatori da ovunque. Anche le associazioni potrebbero fare la differenza. Siamo una delle pochissime aree della Sardegna, se non l’unica, in cui quest’estate non ci sono manifestazioni, proprio zero, nemmeno concerti. E sì che le location non mancherebbero, basterebbe prendere l’anfiteatro comunale, conta 7mila posti ma è bloccato da anni. Che lo si sblocchi dunque! Ci si dia da fare».
Anche se non ce n’è bisogno, perché il suo pensiero è chiarissimo, gli chiedo di concludere con un auspicio. «Sogno una città che funzioni meglio», risponde. «In cui pullulino i fiori, le aiuole, i parchi e i viali alberati. Una città polo d’attrazione per i giovani che studiano scienze forestali, già che un’università ce l’ha ed è specializzata proprio in questo. La bella notizia è che non sono sogni peregrini. La materia prima per realizzarli c’è».
Stefano Ferri