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Donne che si fanno la guerra

di Diana Popescu

Le donne che sono arrivate a ricoprire ruoli di successo in ambiti lavorativi per anni considerati prettamente maschili si sono spesso scontrate con pregiudizi e atteggiamenti che non riconoscevano il loro talento e merito solo per il fatto di essere donne.

“Le donne non sono autorevoli”, “Le donne non sono abbastanza forti”, “Le donne che hanno dei figli non possono fare carriera”. Questi sono solo alcuni dei luoghi comuni con cui le donne si sono misurate per affermarsi nel mondo del lavoro e in politica. E anche se grandi passi avanti sono stati fatti verso la parità di genere, la strada da fare è ancora lunga perché spesso sono le donne stesse a farsi la guerra, criticandosi pesantemente tra loro.

Proprio per le disuguaglianze di trattamento che hanno subìto per tanto tempo, le donne dovrebbero fare squadra, ma non sempre è così. Al contrario alimentano quegli stessi luoghi comuni che tanto disprezzano a parole.

Ed è questo aspetto che merita una riflessione, perché viene da chiedersi: “Ma la solidarietà femminile esiste davvero?”.

Premesso che il valore della solidarietà dovrebbe appartenere a tutti senza distinzione di genere, in una società come la nostra caratterizzata da ostacoli lavorativi, economici e sociali che penalizzano maggiormente le donne, a pagarne le conseguenze sono proprio loro. Si parla ancora di quote rosa, la legge sull’aborto è messa di nuovo in discussione, la maternità continua a essere vissuta come un costo per l’azienda e non come un evento normale da tutelare e promuovere.

Ecco allora che se nel privato le donne sono capaci di creare relazioni profonde, basate sul supporto e sostegno reciproco, in ambito lavorativo tendono a essere molto competitive e ipercritiche tra loro. E il dato più triste è che i commenti spesso colpiscono maggiormente sul piano personale piuttosto che su quello professionale, l’unico che dovrebbe interessare. 

Pensiamo al neo eletto Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e alle polemiche che sono seguite, ad esempio, alla sua richiesta di essere chiamata la Presidente o al fatto che abbia portato sua figlia al G20. Discussioni sterili, alimentate anche da parte di altre donne, che non entrano nel merito come avviene con gli uomini potenti e autorevoli, ma che mirano a sminuirla come figura femminile e mamma.

Le donne dovrebbero imparare a sottrarsi a questa tipologia di commenti, invece che fomentarli. Questo potrebbe davvero fare la differenza e creare contesti lavorativi fortemente produttivi. Lavorare in team significa aiutarsi a vicenda per il raggiungimento di un obiettivo comune, valorizzando i punti di forza di ciascun elemento senza usare le debolezze altrui per emergere.

Solo quando le donne inizieranno a fare gruppo anche nella loro vita professionale, imparando a gioire dei successi delle altre, si potrà parlare di vera solidarietà femminile.

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