di Cesare Giombetti
Proseguiamo il viaggio negli aspetti poco conosciuti del Regno Unito, occupandoci questa volta dei rapporti fra le varie isole britanniche.
Anzitutto dobbiamo partire da qualche chiarimento sulle istituzioni britanniche, ovviamente peculiarissime e difficilmente applicabili altrove.
Il Regno Unito, si sa, è un’unione di nazioni, ma è anche esso nazione. E questo già crea confusione perché è un unicum mondiale.
Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del nord, sono stati con tutti i crismi per esserlo: confini, territorio, capitali, inni, stemmi, sigilli, nazionali dei vari sport, spesso parlamenti, ecc., ma con almeno una particolarità, ovvero la non interlocuzione con gli altri stati per gli affari internazionali. Per quello scopo esiste il Regno Unito, a sua volta stato con una bandiera ecc. Istituzionalmente si parla dunque di stati associati per le quattro nazioni che costituiscono il Regno Unito. Non stati federati dunque, come negli Stati Uniti o altrove. In quel caso infatti gli stati perdono molto potere e, per capirci, nessuno statunitense direbbe di essere californiano o kansasiano, ma si considera statunitense. Invece l’inglese si considera inglese, lo scozzese scozzese e così via. E per un inglese andare in Scozia equivale ad andare all’estero in un paese dell’Unione, senza dogana, con la stessa lingua e con una cultura comune, ma pur sempre in un paese straniero (come per un francese andare nel Belgio francofono o viceversa, per capirci).
Gli stati associati sono, per esempio, le Isole Marshall rispetto agli Stati Uniti, dove queste isole non sono colonia o territorio degli Stati Uniti, ma stati associati a un altro stato.
Nel caso britannico abbiamo l’unicum di uno stato, il Regno Unito, unico interlocutore internazionale, senza territorio, o meglio, il cui territorio coincide esattamente con la somma degli stati ad esso associati.
L’altra particolarità è che il Parlamento del Regno Unito sta a Londra (e dunque l’Inghilterra non ha un proprio Parlamento) e che l’inno God save the Queen/King non è l’inno inglese, ma del Regno e dunque, quando le varie nazionali sportive inglesi usano l’inno del regno, lo fanno prendendolo – diciamo così – in prestito (e infatti nel cricket si usa un altro inno, ovvero Jerusalem https://www.youtube.com/watch?v=rT1HEXNI9c4 ).
Non elenco qui tutte le contraddizioni giuridico-istituzionali che questa situazione genera e che altrove creerebbero il caos e la paralisi. Ne cito solo una a titolo esemplificativo. La sterlina viene di norma stampata dalla Bank of England, ma questo stava stretto agli scozzesi che hanno deciso, con un atto del loro Parlamento, che anche la Bank of Scotland (e altri) avessero il diritto di stampare delle sterline di diversa foggia. Questo crea ovviamente dei problemi di validità della moneta e generò un dibattito. Questo tipo di pratica è stata adottata anche in Irlanda del nord, aggiungendo caos al caos. Alla fine si decise che le banconote scozzesi e nordirlandesi avrebbero non sarebbero stati valuta legale, ma l’uso non sarebbe stato illegale. In pratica il risultato è che pochi sanno se questo denaro si possa utilizzare fuori dal territorio di emissione. In teoria si tratta di denaro “provvisorio” anche in Scozia e in Irlanda del nord. Quel che accade, in questa confusione, è che si possono utilizzare queste banconote, ma nessuno può essere obbligato ad accettarle. Qui trovate una breve guida: https://www.nowloan.co.uk/can-i-use-scottish-money-in-england/
Questo esempio fa capire quanto complicate siano le istituzioni britanniche e la cosa si complica ancora di più se analizziamo i rapporti con le isole minori e tra l’isola della Gran Bretagna e l’Irlanda del nord (non analizzeremo l’ulteriore complicazione data dalla Brexit in questi rapporti perché richiederebbe una trattazione a parte).
Chiarito il rapporto non semplice fra le quattro nazioni costituenti il Regno Unito, cosa accade con le isole minori, quali Guernsey, Man, ecc.?
Non entriamo troppo nello specifico, ma diciamo soltanto che sono Dipendenze della Corona e dunque non facenti parte del Regno Unito, con governi autonomi, ma intersecati a quello britannico, moneta propria, targhe, ecc. (qui potete approfondire meglio la complicazione istituzionale: https://it.wikipedia.org/wiki/Dipendenza_della_Corona_britannica). Ci sono anche dei vantaggi a essere cittadini di queste isolette, soprattutto fiscali. Ma il tema interessante per poter fare un confronto con l’Italia è quello dei trasporti. Si parla spesso in Italia di continuità territoriale per le isole perché ci sono ancora tanti problemi, ma almeno quello del trasporto delle merci è sufficientemente superato. Nei primi anni ’80 si iniziava a pubblicizzare il trasporto in tutta Italia, isole comprese e poi non c’è stato più bisogno perché si è iniziato a dare per scontata la possibilità di consegnare le merci con una discreta facilità e con costi maggiori, ma sostenibili. Resistono ancora casi particolari per le isole più remote come Lampedusa e Pantelleria. Cosa accade invece in queste isole relativamente vicine alla costa della Gran Bretagna? Che pochi consegnano direttamente. Arrivano le forniture concordate, ma non si può piazzare (o non facilmente) un ordine per l’Isola di Man per esempio. Al punto che esistono attività economiche che propongono soluzioni alternative per fronteggiare il problema: https://www.ship2man.im/
Si potrà obiettare a questo punto che si tratta di pochi abitanti (80mila circa nell’isola di Man, 65mila circa Guernsey e così via). E dunque potrebbe stupire non troppo, ma colpisce di più il fatto che problemi analoghi ci sono anche per l’Irlanda del nord. La cosa si è complicata ulteriormente con la Brexit, ma già prima si riscontravano difficoltà di questo tipo. E in questo caso si tratta di quasi due milioni di abitanti.
Ma allora come fanno i nordirlandesi? Semplicemente dialogano commercialmente soprattutto con la Repubblica d’Irlanda, dalla quale sono divisi per motivi storici e politici ben noti, ma di fatto uniti commercialmente. In questo caso parliamo di circa due milioni di abitanti, commercialmente relativamente isolati rispetto al resto del Regno Unito.
In realtà questo si riallaccia alle questioni istituzionali di cui sopra, perché l’approccio culturale medio alla geografia e alle istituzioni è ben diverso a quello di altre nazioni. Proprio perché la struttura è complessa come dicevamo (e non solo per questo motivo), la percezione delle istituzioni è molto più confusa e meno netta. In pratica un inglese si sente inglese, un gallese gallese e così via, e solo giornalisti o saggisti o simili usano la parola “Briton” per indicare gli abitanti del Regno Unito. Di norma però non ci si definisce Briton. Talvolta si usa l’aggettivo British, a seconda del contesto. Da notare inoltre come entrambe le parole rimandino all’isola della Gran Bretagna, e non al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
In pratica, nella cultura diffusa, vige una distinzione più che altro culturale dove esiste principalmente la nazione di appartenenza (Inghilterra, Scozia, ecc.) e poi esistono i vicini irlandesi, intendendo per irlandesi tutti gli irlandesi. Quasi mai un inglese parla di Irlanda del Nord, se non per questioni tecniche e commerciali, e quasi mai si pensa facente parte di un’unione con l’Irlanda, perché l’Irlanda è un’altra cosa. Questo ovviamente sarebbe impensabile dove si studia la geografia politica in maniera organica. Nessun italiano dubita del fatto che la Sardegna sia parte dell’Italia così come nessun francese dubita del fatto che la Corsica sia parte della Francia (in effetti per la Francia la questione si complica con la Guyana francese, ma in quel caso si è giustificati dalla distanza remota).
Il Regno Unito insomma vive abbastanza bene in equilibrio in questo magma normativo e istituzionale, con tutte le conseguenze pratiche ed economiche che ne derivano, inclusa questa discontinuità territoriale che altrove starebbe invece molto stretta. E la Brexit, come accennavamo, non ha fatto altro che complicare ulteriormente – e di tanto – la situazione già notevolmente complessa.